Collettiva d'arte "Idroscalo di Ostia - una morte sbagliata"
dal 4 al 20 marzo 2023
Galleria GARD, Via dei Conciatori 3i - ROMA
RE(D)SET
Dittico: tecnica mista su tela (70x60 cm); stampa su carta cotone fine art Fowa Richard Rag Smooth (56x46 cm).

La rabbia, un sentimento che ci scuote da dentro, che nasce dalle viscere di noi stessi, dagli antri più profondi e reconditi, quasi sempre scaturita da un accadimento esterno. Quasi sempre causata da ingiustizie subite, non capite, da atti o da parole che feriscono le nostre fragilità, o la nostra dignità. Talvolta invece siamo noi stessi gli artefici di questo tsunami interiore. Costruzioni mentali che erigono impalcature, anzi, città, in cui i preconcetti si fanno pilastri e le fissazioni creano tegole per tenere al riparo l’ardente rabbia che ci logora. Ma la verità è che tutto il nostro castello di rabbia è basato solo su fondamenta di sabbia biliare.
La rabbia. Quel sentimento che è così visceralmente vicino al nostro Io interiore, quella voce nella testa che ci porta a commettere atti, a dire parole, di cui probabilmente ci pentiremo.
Azioni e parole. C’è chi sostiene che le azioni contino più dei fatti, ed è vero, ne sono convinta anch’io. Ma quanto feriscono anche solo le parole. Piccole, taglienti, dette a mezza bocca o urlate in faccia. Verità o menzogne. Potenzialmente tutto può ferirci. E più stimiamo la persona che ci ferisce e più fa male l’ingiuria. O la verità. Perché spesso molte verità le ignoriamo di proposito, troppo codardi per accettare la realtà delle cose, preferiamo costruirci una vita fatta a nostra misura, piena di schermi e paletti tra cui spostarci, come di notte al buio nella nostra camera da letto. Ma quella rabbia, quella rabbia che ci riporta al mondo reale, fatto di tormenti e nefandezze inaccettabili, quella rabbia in qualche modo ci sporca. La nostra mente, prima tranquilla, improvvisamente viene obnubilata da un torrente di emozioni ematiche. 
E quel che diciamo, quel che facciamo? C’è chi, in preda alla rabbia, trova finalmente il coraggio di dire ciò che pensa e chi, altrettanto onestamente, dice quello che non pensa. Per ferire, per sentirsi meglio. Ma quanto ci si sente meglio poi? La rabbia, secondo me, consta di due fasi: il pathos, ossia la passione soffocata che diventa sofferenza subita, e l’ebrietas, la passione propriamente detta, quel senso di ubriachezza che ci offusca la mente sopraffandoci e ci porta ad agire. Credo anche che ci siano due modi diversi di sentirsi, dopo aver espresso quella rabbia: senso di colpa, liberazione. Invece esiste un’unica via che ci consente il suo superamento: l’attraversarla.

Questo dittico fa parte del progetto Synaesthesia e che nasce dalla voglia di accostare due modi di interpretare la realtà che vedo. Questo si traduce in un'opera composta da due diverse tecniche rappresentative, ossia pittura e fotografia. Musa ispiratrice è stata la poesia Correspondances di Charles Baudelaire, di cui mi piace citare:
[. . .] Comme de longs échos qui de loin se confondent 
Dans une ténébreuse et profonde unité, 
Vaste comme la nuit et comme la clarté, 
Les parfums, les couleurs et les sons se répondent [. . .]
Charles Baudelaire

Idroscalo di Ostia -  una morte sbagliata
Un moto di rabbia. Violento. Brutale. Questo ha ucciso Pier Paolo Pasolini. Quel che di preciso accadde quella drammatica notte resta avvolto in un fitto mistero i cui unici contorni certi restano quelli legati alla ferocia con cui si è consumato l'assassinio.
Ultimo atto di una vita vissuta costantemente in bilico tra redenzione e abisso.    
Per tutta la vita il grande artista è andato in cerca di situazioni estreme, dolorose, pericolose, una ricerca sfrenata (solo apparentemente illogica) che certamente gli ha consentito di creare un’Opera così vera. Una poetica che si nutre di un viscerale bisogno di celebrare la vita sfidando la morte, solo per godere appieno di quelle sfumature esistenziali che, forse mossi da codardia, noi tutti siamo soliti ignorare, ripudiare, giudicare, condannare.

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